Anche in questa domenica (VI di Pasqua) il vangelo ci riporta nel cenacolo: Gesù infatti è a tavola con i suoi discepoli per l’Ultima Cena e con quale animo vive questi momenti? L’evangelista Giovanni ci dice così: “Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine” (Gv 13,1). Dunque l’animo di Gesù è totalmente dominato dall’amore, che prova per i suoi discepoli: un amore che è giunto al punto più estremo. È dunque da questo che scaturiscono le sue parole: “Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso”. Ma se da una parte quell’amore estremo, spinge Gesù nel voler approfittare di questi suoi ultimi momenti per comunicare ai suoi carissimi discepoli tutto il piano divino, che sta portando a pieno compimento, dall’altra, questo stesso amore, fa scegliere a Gesù di frenare, affinchè quei suoi discepoli possono recepire ciò che sono in grado di sopportare: per non travolgere, per non sconvolgere (è tipico dell’amore contrarsi secondo le misure della persona amata). L’attenzione alle nostre emozioni, il rispetto della nostra sensibilità, il tener conto dei nostri limiti e delle nostre incapacità, però, non trattengono Gesù dal voler mettere in luce un’altra cosa bella. Sì, non può (ritiene giusto non farlo) dirci tutto quello che vorrebbe, perché non siamo in grado di recepirlo come si deve, però vuole che gestiamo questa consapevolezza all’insegna della speranza, non ripiegandoci, non chiudendoci dentro il nostro limite, ma aprendoci ad un oltre: perché c’è un di più, c’è un sempre di più, che ci sarà reso possibile dallo Spirito Santo: «Verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità»”.

H. Van Den Broek “La resurrezione di Cristo” (XVI sec.) Città del Vaticano Bisogna vigilare pertanto sulla presunzione di sapere già tutto di Dio e del suo piano di salvezza; sulla pretesa di andare oltre a quel che Gesù ci ha detto, affidandoci orgogliosamente a noi stessi, alle nostre risorse di intuizione e di ragionamento; sul fare ricorso a chissà quali fonti di ispirazione per andare oltre quel che Gesù ci ha detto. Dobbiamo invece far camminare la nostra speranza solo sulla strada che ci viene indicata dallo Spirito Santo e sulla quale lo Spirito Santo stesso ci fa da guida. Dall’amore estremo, che Gesù sta provando per i suoi discepoli, scaturiscono anche queste parole: “Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia”. Che bello sapere che di fronte alla realtà, con i suoi problemi, con le sue difficoltà, con le sue asprezze, con le sue sofferenze, il vero amore non sceglie di nascondertela, o di mistificarla, o di negarla, ma da un lato ti avverte, ti apre gli occhi e dall’altro ti aiuta, dandoti ragioni per affrontarla in piedi, con quella determinazione, che ti viene dalla speranza! E infatti Gesù, in nome del suo amore, mentre annuncia ai suoi discepoli quanto saranno devastati dal dramma della sua passione e morte (“Voi sarete nella tristezza”), suggerisce loro come dovranno interpretare quella sofferenza: non come morte o fine di tutto, ma come doglie del parto, cioè come inizio di una splendida novità di vita, inizio di un modo nuovo e molto più promettente di avere Lui accanto. E a partire dalla Pasqua di Gesù per i discepoli di Gesù questo deve essere il modo di affrontare le sofferenze e le tristezze della vita: scorgere nella risurrezione di Gesù la sicura prospettiva di speranza, che sta aperta davanti a loro. Davvero la Risurrezione di Gesù è per noi principio di una gioia invincibile. dgc

