Ogni anno, nella terza domenica di ottobre, ricorre la festa del Duomo di Milano. Per la nostra diocesi è la festa della “chiesa madre di tutti i fedeli ambrosiani”; è l’occasione privilegiata in cui la Chiesa particolare esprime la sua coscienza di comunità di fede, radunata attorno al vescovo e costruita, in forza dei sacramenti, come corpo di Cristo e tradizione, attraverso i tempi, della sua Parola e del suo amore che raduna i molti in uno. Questa immagine della “madre”, così cara, così poetica, potrebbe far sembrare cruda e asettica quella legata alla costruzione e alla manutenzione dell’edificio sacro, cioè alla Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano (ente storico fondato nel 1387 da Gian Galeazzo Visconti, allora signore della città). Perché cito questo Ente? Perché da una parte mi fa pensare a quell’espressione simpatica, che esprimere la lunghezza di tempo che ci vuole per un’iniziativa: “lung cum’è ul Dom”, riferendosi al fatto che occorse molto tempo per completare il Duomo; e anche al fatto che potremmo tutti riconoscerci -in senso lato- in quella “fabbrica”: ognuno infatti è chiamato a prendere parte al progetto di Dio nell’edificare la sua Chiesa. Secondo l’espressione della 1^ lettera di S.Pietro (2,4): “quali pietre vive siete costruiti anche voi come edificio spirituale…”, ciascun battezzato ha il compito di essere nella Chiesa non uno spettatore inerme e inutile, ma un soggetto protagonista della costruzione, del mantenimento e dell’eventuale restauro della Chiesa. Una chiesa infatti vive se ancora oggi convoca, se anche oggi è aperta a chiunque, se soprattutto oggi non chiede appartenenze, ma dà a ciascuno dignità di appartenere alla grande “casa di Dio”.

P. Cezanne “Natura morta, brocca e frutta” (1894) Ovviamente, non ci si sta riferendo solo al Duomo, magnifica e imponente cattedrale e Chiesa Madre, ma a tutte le Chiese di cui ognuno di noi è parte integrante perché da lì è stato generato, lì abita e lì il Signore lo ha posto per essere “pietra viva”. Ma il vangelo oggi ci ha ricordato che tra le pietre che fanno la Chiesa una è in assoluto la più preziosa, la pietra senza la quale ogni edificio è in vista di rovina. E paradossalmente è una pietra nascosta. Dico "paradossalmente", perché, secondo i criteri mondani, "quelli che contano" amano farsi vedere, in special modo in una stagione, come la nostra, di sovraesposizioni. Questa pietra, in assoluto la più preziosa, è nascosta, non in vista. E nonostante sia nascosta regge tutto l’edificio; anzi senza di essa la costruzione non starebbe in piedi. Sto parlando di Gesù, della sua parola. Ed è proprio Lui stesso a presentarsi così: “Chiunque viene a me e ascolta le mie parole e le mette in pratica, vi mostrerò a chi è simile: è simile a un uomo che, costruendo una casa, ha scavato molto profondo e ha posto le fondamenta sulla roccia” (Lc 6,47-48). Eppure, non di rado accade di ascoltare discorsi di chi scorge per la Chiesa pericoli, rovine, devastazioni. E lamentazioni e rimpianti per i tempi passati sembrano occupare il dibattito. Ma che venga la piena, che la casa sia investita dal fiume appartiene alla storia, a ogni stagione della storia. Perciò la cosa che conta è sapere dove abbiamo costruito, se sulla roccia o no. Per verificarlo diventano decisivi tre verbi che troviamo in queste parole: “Chiunque viene a me, e ascolta le mie parole e le mette in pratica”. Sui primi due verbi poco da dire. Ma sul terzo (“mettere in pratica”) si rischia di essere ambigui. Il termine “praticanti” infatti viene spesso riferito a coloro che frequentano i riti. Ma, viste come vanno le cose, forse, praticanti -semmai- sono quelli che attuano le sue parole…perchè non sempre alla frequenza segue una vita di vangelo! …Ma d’altra parte gli alberi buoni si riconoscono per i frutti buoni che producono. dgc

