Tutti conosciamo il “racconto del peccato originale” (Gn 3,1ss.). Ma qual è il vero intento di questo racconto? Credo proprio che non sia tanto quello di narrare il primo peccato, che è stato commesso nella storia umana. Notando come finisce il racconto: un elenco di dolori, di prepotenze, di incomprensioni e di fatiche, che ogni uomo e ogni donna incontrano nella loro vita, il racconto vuole aiutarci a metterci in maniera giusta di fronte al male, che sperimentiamo intorno a noi e dentro di noi. Ci sono infatti reazioni, conseguenze. La prima, che possiamo scorgere è quella vissuta da Adamo ed Eva. Essi, al loro primo impatto con il male, si coprono e si nascondono. Ma Dio li raggiunge e li costringe a interrogarsi e a fare i conti con la loro responsabilità. Ecco allora la prima cosa che dobbiamo raccogliere da questa pagina del peccato originale: quando ci imbattiamo nel male non dobbiamo limitarci a prenderlo come un dato di fatto, ma dobbiamo interrogarci, metterci in questione: “Come sto usando la mia libertà? Ho una qualche responsabilità?”. Anche l’attuale vicenda del mondo, dimostrandoci che tanto male c’è e persiste ostinatamente, ci dice proprio che il problema ha origine nel fatto che non si affronta il problema delle responsabilità umane. Se infatti ciascuno si interrogasse sulle conseguenze vere del male, forse si renderebbe conto del forte disagio generato. C’è una seconda cosa molto importante, che dobbiamo fare, quando veniamo alle prese con il male. Anche questa la vediamo in Dio che va in cerca di Adamo ed Eva e li costringe a fare questa considerazione: “Se volete capire bene, perché avete scelto di fare il male, dovete spingervi a prendere in considerazione qual è l’idea, che vi siete fatti di me”.

L. The Elder Cranach “Adamo ed Eva” part. (1538) Praga E Adamo ed Eva hanno davanti due piste diverse per farsi la loro idea di Dio. Una, a partire da quel che Dio ha fatto per loro: Dio ha riservato loro nella creazione un trattamento di riguardo che va ben oltre al trattamento, che ha riservato alle altre creature; Dio ha concesso a loro un posto singolare di comunione e di corresponsabilità. L’altra è quella, che ahimè, Adamo ed Eva adottarono: intendere Dio a partire da quel che il serpente suggeriva loro a proposito di Dio: “Dio vuole opprimervi, Dio vuole asservirvi, Dio vuole mortificarvi”. Con in testa questa idea di Dio, si può capire bene che l’ultima cosa che si sceglie è di fidarsi di Dio e di attenersi alla sua volontà. Ecco come si diventa operatori di male e non di bene. Chiediamoci allora: “Qual è l’dea di Dio che seguo nella mia vita? È quella che mi viene consegnata da Dio stesso attraverso la sua creazione, attraverso la storia della salvezza, attraverso la rivelazione biblica? Oppure è l’idea di Dio diabolica?”. Certo la seconda è molto suggestiva ed ha una sua plausibilità. Ma verifichiamo le nostre reazioni. Per esempio: cosa proviamo quando abbiamo di fronte una persona che è molto diversa da noi, che magari è anche misteriosa e piuttosto sfuggente? Se poi per di più questa persona ci appare più forte di noi e quindi in grado di dominarci, asservirci, schiacciarci, come reagiamo? Una prima reazione è la diffidenza, che trascina con sé l’istintiva propensione all’autodifesa e all’aggressività, per salvaguardarsi e imporsi, se possibile. Ecco, se accostiamo Dio così, Dio ci apparirà: diverso, misterioso, sfuggente, autoritario… E il serpente del racconto incarna proprio questa propensione. Occorre allora tenere sempre viva in noi l’esigenza di convertirci al Dio della Rivelazione, al Dio della storia della salvezza. Se vogliamo esercitare la nostra libertà senza diventare responsabili di male nella storia e nella nostra vita personale, dobbiamo legare sempre l’esercizio della nostra libertà alla ricerca di Dio nella sua Rivelazione e nella sua opera nella storia della salvezza. La nostra libertà, quando fa i conti con il Dio vero – un Dio che ci è Padre come ci ha insegnato Gesù – passa dalla diffidenza e dall’antagonismo alla fiducia, all’affidamento: “Sia fatta la tua volontà!”. Giuseppe nel brano evangelico (Mt 1,20b-24a) è esemplare in questo: si fida di Dio e si affida al suo progetto.
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